domenica 15 marzo 2009

Cat Hunting

Ieri me la sono vista brutta. Solo due giorni fa, nel post in cui esaminavo gli effetti del divieto di scrivere su internet in forma anonima, osservavo che la maggior parte degli esseri umani non crede i gatti capaci di mantenere un blog, sia pur tramite il controllo telepatico del proprio compagno umano dalla mente semplice. Non sospettavo che proprio l'ispiratrice gommificata della nuova legge facesse eccezione.

Avevo già avuto modo di conoscere la virulenza da dominatrice di questa signora osservandola in uno dei miei programmi tv preferiti. Ma, come si dice, la televisione a volte non rende giustizia alla realtà, e di questo ho avuto una prova ieri mattina. L'amazzone di caucciù si è presentata davanti alla nostra casa bardata dalla testa ai piedi per una caccia alla volpe: stretti pantaloni bianchi, giacchetta rossa, stivaloni fino ai ginocchi, caschetto nero e frustino. Il nostro Ambrogio, il fedele maggiordomo avvizzito per l'età e una decennale pratica nicodemica alla corte del mio coinquilino, ha aperto la porta e per lo spavento la pelle della faccia gli si è tesa al punto che per un momento gli sono scomparse tutte le rughe, rendendolo più glabro della donna di cera che gli stava di fronte. La domina gli ha fatto sibilare il frustino sotto il naso e con il labbrone proteso gli ha intimato: "Voglio parlargli immediatamente!".

Ambrogio, che nel frattempo aveva ripreso l'aspetto tartarughesco di sempre, si deve essere allora chiesto perché questa fiamma passé del mio convivente avesse deciso proprio oggi e dopo anni, con un bilancio tra favori dati e ricevuti tutto sommato non deficitario, di fargli una scena di gelosia in casa sua. "Rispettabile signorina, il cavaliere è assente", ha cercato di placarla. Ma lei: "Non cerco Sua Maestà" (sic!) "voglio parlare al gatto!". A quel punto il povero Ambrogio cominciò a prendere paura. Sudando, si spremeva le meningi per trovare una via di uscita, ma metà della sua concentrazione era impegnata a fargli schivare il frustino impazzito della cacciatrice. "Come scusi? Il gatto?" domandò trafelato tra una scudisciata e l'altra. "Sì", ripeteva la signora, "e immediatamente!".

Di fronte alla determinazione dell'ex-soubrette, Ambrogio capì che ella non scherzava affatto e provò a farla ragionare usando il comune argomento umano che i gatti non sono capaci di intendere il linguaggio dell'uomo. Ma la domatrice iniziò uno di quei suoi monologhi urlati che constano di pochissime parole ripetute all'infinito: "Voglio parlare al gatto! Voglio parlare al gatto! Voglio parlare al gatto e non me ne vado di qui finché non ci riesco! Voglio parlare al gatto!Voglioparlarealgatto!Voglioparlarealgatto e diquinonmenevado! VoglioparlarealgattoVoglioparlarealgattoenonmenevado! vogliovogliovogliovogliovoglioparlareparlareparlareparlarealgattoalgattoalgattoalgattoalgatto..."

"VA BENE!" urlò allora Ambrogio dalla disperazione. E arrendendosi all'attacco congiunto di parole e frustate, spalancò la porta e con atto liberatorio esclamò: "E parli col gatto allora! E mi saluti tanto anche i tre porcellini e il brutto anatroccolo se li vede discutere in corridoio. Basta che non mi disturbi i due leocorni in salotto se stanno giocando a carte: diventano irascibili e si mettono a pisciare dappertutto e a imprecare contro Noè".

Non ci potevo credere: Ambrogio aveva alzato bandiera bianca e mi aveva messo in grande pericolo per salvare se stesso. In un attimo presi la mia risoluzione: sarei ricorso alle unghie solo come ultima ratio, perché c'era il rischio che si rompessero una volta affondate nel compatto silicone di cui è rivestita lady gomma. Prima mi sarei invece affidato a una strategia molto popolare fra i gatti, che richiede però una grande dose di sangue freddo: fare l'indiano con sguardo sornione e con la flemma disarmante di chi non ti capisce perché è troppo superiore a te. Comunque, per sottrarmi all'allungo del frustino e anche per metterla in una condizione di sudditanza psicologica, pensai bene di salire in cima alla palma nana in soggiorno, che è alta circa quattro metri.

Quando me la vidi davanti capii quanto pericoloso possa essere il lavoro delle Iene a volte: non guarderò mai più i loro servizi senza provare per loro una solidarietà animalesca. Per fortuna la distanza era ben calcolata: nonostante provasse a raggiungermi zompando sotto la palma come una cavalletta impazzita, col frustino riuscì solo a sfrondare i rami un metro sotto il mio naso e intanto guaiva: "Voglio pagare i danni! Voglio pagare i danni!". Disperata per la sua impotenza, abbassò lo scudiscio e incominciò con i suoi monologhi assordanti. Sapevo che questa sarebbe stata la prova più difficile, ma mi sentivo pronto.

Incominciò a insultarmi per il mio blog, sputando veleno contro di me e i gatti internauti di tutto il mondo, promettendo di far approvare una legge contro i blogger felini che preveda per loro anni di gattile a pane e acqua. Fra gli epiteti che mi rovesciò addosso, uno fu ripetuto per svariati minuti: rugoso. È un'osservazione che normalmente mi sprofonda in una grande tristezza, perché l'aspetto antropofelino che l'uomo mi ha inflitto, privandomi della pelliccia con manipolazioni genetiche, mi ha sempre fatto sentire diverso dai miei simili. Ma questa volta, guardando la faccia plastificata e priva di rughe di questa cinquantenne che mi insultava, trovai il coraggio di continuare la recita della mia empirea imperturbabilità.

Anzi, a quel punto riuscii perfino a darle il colpo di grazia: sbadigliai. Di fronte a questa definitiva prova di forza, la domatrice di belve si zittì, il suo frustino s'ammosciò e il suo labbrone si sgonfiò. Proprio in quel momento, i rinforzi chiamati da Ambrogio piombarono in soggiorno: due messi della Camera dei Deputati, vestiti per l'occasione in camice bianco, accompagnarono l'onorevole signora nel suo ufficio. C'era una legge urgente che necessitava delle sue correzioni, le dissero.

Nessun commento:

Posta un commento