mercoledì 22 aprile 2009

L'uomo della provvidenza al lavoro

Il mio prolungato silenzio questa volta è dovuto agli esperimenti di ubiquità cui il mio coinquilino da qualche giorno va iniziandosi sotto la guida di uno sciamano del deserto, inviatoci insieme ai cammelli dall'amico beduino. Nonostante sia ancora un apprendista, i risultati che ha raggiunto sono già inquietanti. A volte si materializza in un angolo del soggiorno mentre dirette tv lo inquadrano fra le macerie de L'Aquila. Altre volte è qui con il corpo ma in Abruzzo con lo spirito, e si avvinghia al collo del cammello in anticamera, rassicurandolo che quella sistemazione è solo temporanea e prestissimo una new town sarà pronta per lui in giardino.

Ma mi devo affrettare: il mio convivente è svenuto già da cinque minuti, dopo che finalmente sono riuscito a fargli cadere un vaso Ming sulla testa nei brevi momenti in cui si è levato il casco da pompiere che oramai indossa anche a letto. La botta è stata forte ma il cocktail di eccitanti che si inietta in vena per poter stare sveglio 48 ore di seguito può rimetterlo in piedi da un momento all'altro, e allora addio flusso telepatico e con esso internet.

L'ubiquità per il mio amico non è soltanto un hobby ma anche un dovere. Come piccolo padre dell'umana nazione italica, tocca a lui risollevarne l'animo schiacciato dalle macerie. Ispirandosi ad altri leader del passato, anch'essi sorpresi da tragedie nel mezzo di una campagna elettorale, egli ha compreso che alla nazione servivano un messaggio forte e parole di speranza. Di suo ci ha aggiunto poi pillole barzellettiere, perché sane risate aiutano nei cataclismi più delle lacrime.

Certo deve essergli costato molto. Era appena tornato da un'estenuante tournée di spettacoli in Europa e avrebbe voluto ritirarsi qualche giorno a preparare numeri inediti per il prossimo G8, quando il terremoto ne ha reclamato la presenza ricreativa sul campo. Non si era ancora struccato completamente che già doveva rimettersi il cerone. Il problema del costume di scena gliel'ha risolto il geniale Telesina: un dolcevita nero sotto la giacca, che richiama la tradizione dei body da mimo e al contempo si intona al lutto.

Questa volta però il suo umorismo è sembrato meno brillante del solito, scialbo, trito. Sarà stata la stanchezza. La battuta nichilista "Non avete più le case? Andate al mare!" è in realtà una palese rielaborazione di quella già usata mille volte per mille referendum, la prima volta diciotto anni fa dal suo defunto amico Bettino. Già un po' più originale è sembrata la stoccata agli sfollati: "Prendete la vita in tenda come un week-end in campeggio". Ma anche questa, almeno in patria, non ha convinto. Infatti non è stata diffusa a dovere dai media italiani, e per recuperarla bisogna andare a cercare all'estero.

Più che sul versante comico, questa volta il mio convivente ha sorpreso per innovatività su quello politico: rifiutando le offerte di aiuto dall'estero, ha insegnato al mondo la dottrina dell'"autarchia della sofferenza". Il dolore italico è patrimonio nazionale e non può essere alleviato da stranieri, che magari in cambio vorrebbero ficcare il naso sui metodi e i materiali di costruzione delle recentissime case crollate. Chi rompe (mal costruendo) paga, e i cocci sono suoi.

Chiudo qui, perché la mano del mio compagno si è messa a tastare il pavimento alla ricerca del casco da pompiere, segno inequivocabile che tra pochi istanti sarà in piedi e pronto a ripartire per gli Appennini abruzzesi.

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