lunedì 1 giugno 2009

Di photoshooting in Sardegna, Guantanamo domestiche, domande difficili e risposte evasive

Sono stato via un po'. Sono tornato ieri da una vacanza a Villa Certosa, dove il mio coinquilino mi ha fatto portare in aereo blu per un servizio fotografico che apparirà sui tutti i suoi rotocalchi, quotidiani e televisioni a reti unificate. Vuole mostrare il lato ameno e naturalistico che ora regna nella sua reggia sarda, con quel contorno di animali e piante che ne fa un paradiso terrestre. Così intende far dimenticare al paese gattone il lato naturistico che vi ha regnato fino ad ora, dove un contorno di ignude gnoccone ne faceva un paradiso per i sensi di attempati maschi umani.

Con rammarico ho appreso dai giornali di tutte le volte in cui il mio convivente si sarebbe sottratto al mio condizionamento telepatico per andare ad animare come capo-harem i suoi festini sardi, spacciati in famiglia per vertici diplomatici. In tutte quelle occasioni mi ha privato dell'accesso alla sua mente semplice e quindi a internet. Spero che ora che tutt'Italia sa del suo passatempo preferito, egli non cerchi più riparo in luoghi superprotetti come la Costa Smeralda o in remoti suburbi come la circonvallazione di Casoria, ma organizzi i baccanali direttamente a casa.

La settimana in Sardegna è stata piacevole: clima mite, molte prede da cacciare e gatte di ogni razza con cui amoreggiare. Sembra che il luogo emani un'energia erotica irrestistibile che manda in calore ogni essere vivente. Forse è la sua storia recente, forse sono le vibrazioni orgasmatiche dei satiracci che ne hanno calcato il suolo. Forse, più prosaicamente, è solo che il mio coinquilino ne ha irrorato l'ambiente con abbondanti dosi di gas afrodisiaci, che la tramontana non è ancora riuscita a spazzare via.

Al mio ritorno ho scoperto che a qualcun altro era stata riservata una vacanza di tipo diverso. Le quattro menti più brillanti sul libro paga del mio coinquilino sono state riunite a formare una "unità di crisi" incaricata di rispondere a delle domande difficilissime, ben più impegnative di quelle delle olimpiadi matematiche o di "Chi vuol essere un milionario". Sono i quesiti del secolo: le 10 terribili domande di Repubblica.

Per favorire la concentrazione dei quattro saggi, il mio coinquilino li ha fatti segregare per due settimane nella cantina di casa, trasformata per l'occasione in una Guantanamo domestica con tanto di strumenti di tortura e carcerieri originali della prigione cubana, ora acquistabili a buon prezzo su eBay dopo lo smantellamento del centro di detenzione ordinato da Obama. Sono arrivato giusto in tempo per vedere uscire i quattro alla fine del loro corpo a corpo con i dieci enigmi, del tutto irriconoscibili.

Giulianone sembrava reduce da un campo di digiuno nel periodo del Ramadan: i rotoli della panza sgonfi e cadenti fino alle ginocchia a formare una fisarmonica di carne disgustosa, il volto smagrito, gli occhi freneticamente alla ricerca di un panino al prosciutto. Neanche la tortura di Luttazzi lo avrebbe potuto segnare a quel modo.

Dietro al bestione si è profilata poi la vampirea sagoma del sacerdote delle leggi, l'inventore di lodi per il sovrano che oggi si intonano in vari tribunali della Repubblica. La faccia era quella di sempre: un calco bronzeo che dei fabbri-chirurghi hanno eternamente fissato in un ghigno sorcesco, capace di farmi avvampare di istinti predatori ogni volta che mi appare davanti. Ma a fronte di quell'inalterabile tegame battuto, i capelli bagnati e gli occhiali appannati tradivano una passione per il waterboarding. Infine è emerso Telesina, pallido dopo quindici giorni senza lampade UVA e con gli occhi incavati dall'oscurità, sorretto da una specie di varano che poi ho riconosciuto in una vecchia conoscenza dell'imperatore.

Scortati dagli ex-marines, i quattro sono stati condotti nello studio ovulare del mio convivente, che li aspettava col cipiglio di una sfinge (non immaginate quanto serio riesca a restare in privato). Felinamente, ho seguito la processione: non mi sarei mai perso la soluzione dei quesiti. Il cereo Telesina ha preso la parola per annunciare che nonostante due settimane di tentativi, l'unanimità non era stata raggiunta. Si sarebbe dunque proceduto con la presentazione delle soluzioni proposte da ciascun saggio separatamente.

Ha incominciato Giulianone, aspirando per prima cosa la dozzina di tramezzini che gli erano stati offerti per aiutarlo a riprendere le forze. Con la bocca ancora piena disse che non capiva dove stava il problema: "Ma chi ha detto che non si può trombare una diciassettenne?". A un gesto della mano del mio convivente i forzuti di Guantanamo lo hanno subito ricondotto in cantina.

La parola è passata quindi a faccia di bronzo. Con l'aria professionale dell'avvocato ha messo mano alla sua cartelletta portadocumenti e ne ha tirato fuori le domande di Repubblica, si è schiarito la gola e ha incominciato a leggerle una per una. Ha iniziato confutando la prima con un saggio di magniloquenza forense: «Ma dai, ma va là, ma sono domande da farsi, ma va avanti, ma dai, va là». Alla seconda ha opposto invece un: «Ma dai, ma è possibile, ma mi faccia il piacere, ma va là». Aveva appena iniziato a rispondere anche alla terza quando un altro gesto della mano del capo ha indicato ai carcerieri che la lezione di retorica poteva proseguire nei sotterranei.

Telesina ha tenuto fede alla sua reputazione di colomba: "Ci parlo io con questi di Repubblica, ci stanno tanti miei ex-colleghi, sai. Concordiamo delle risposte, tu correggi un po' quello che hai detto da Vespa, dici che hai in parte alterato la verità ma solo per proteggere la famiglia Letizia. Tu fai la figura dell'eroe che si sacrifica per il più debole, Repubblica ottiene soddisfazione davanti alla stampa internazionale e siamo tutti amici come prima". Con un sorriso angelico Telesina lasciò cadere lo sguardo sulla mano del presidente, che questa volta non si mosse.

Fu allora che intervenne il varano. Con la sua saggezza dinosaurica sentenziò: "Tu hai già detto de tutto, embeh? E mo je dici che nun hai mai detto gnente. Due più due fa quarantotto, lo dice er lodo Arfano. Sei l'imperatore de Roma, la puoi brucià e metterte a suonà a lira: te verranno sotto ar barcone a applaudì. Buttaje un po' de panem, mettije un po' de ciccenses in tivvì che se ne stanno boni boni. Ahò, magari per due o tre mesi le gnocche le lasci a Emijio Fede, vedi mai che sti repubblicani te seguono fin ner cesso con la macchina fotografica a tracolla. Nun te fa trovà, nun te devi fa trovà. Te ricordi che je dicesti a la Manna? Fatte 'na vacanza!".

Alla sfinge rispuntò finalmente il sorriso a trentadue denti. Congedò tutti e chiamo l'ANSA per dare al mondo la notizia del giorno: che lui non aveva mai detto niente. Niente di niente.

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