venerdì 12 giugno 2009

Incubi e partenze

Qualcosa deve avermi fatto male ieri sera. Non so se sia stato il cous-cous preparato dalle mani incerte del mio coinquilino per il suo amico nomade, o gli sguardi lupeschi con cui quest'ultimo di tanto in tanto intercettava il mio sguardo mentre a cena impartiva lezioni di democrazia al ministro Bond e a Siculo Broker. Una mente tutt'altro che semplice quella del beduino, impenetrabile per le mie capacità telepatiche, tutt'un altro cervello rispetto ai deboli ammassi neuronici del mio convivente e del suo entourage.

Qualunque cosa sia stata a scombussolarmi, ho passato una notte da incubo. Stavo guardando un servizio tv sulla notizia del giorno, l'approvazione alla Camera della legge contro le intercettazioni con il voto favorevole degli onorevoli passacarte più ventuno voti omaggio di qualche irriducibile dialogante dell'opposizione. Preso sonno, è incominciato un sogno inquietante. Eravamo a villa Certosa, nella famosa magione degli orgasmi. Giulianone, integralmente nudo, parlava a uno scialbo, non meglio identificato interlocutore di sinistra anch'egli biotto come un gatto sfinge, e gli faceva un'accorata proposta: "Se accettaste che solo Berlusconi si occupasse della stampa, ci sarebbe finalmente pace politica in Italia! Il Giornale potrebbe essere il quotidiano di destra; il Foglio quello di sinistra. Tutti gli altri quotidiani non servirebbero più. Re d'Italia sarebbe il Telegatto". (In quel momento avvistavo, a grandissima distanza, il fotografo Zappadu appollaiato su un albero, nascosto tra le frasche, che sotto il teleobiettivo se la rideva...)

Mi svegliai di soprassalto. La conclusione della proposta del saggio ciccione, tanto inaspettata quanto incongruente, mi metteva di nuovo di fronte, dopo anni, l'immagine del felino catodico con la coda a forma di antenna, un mostruoso ibrido che è stato a lungo un mio incubo notturno ricorrente. Soprattutto nella sua forma di statuetta dorata ho sempre intravisto in lui un gatto spellicciato, finendo per identificarmici. È come specchiarmi in un Mr. Hyde dagli occhi ipnotici e il sorriso ebete, che si replica in migliaia di esemplari e salta di mano in mano a nani e ballerine.

Il dottor Randolf, con cui a suo tempo feci alcune sedute psicoanalitiche via internet, sostiene che tali incubi siano lo sfogo onirico delle mie contraddizioni esistenziali, che io inconsciamente rimuoverei. Essere il compagno felino di un imperatore dell'etere, che è al contempo capo di uno stato senza opposizione, secondo il dottore mi causerebbe delle crisi di coscienza, che la mia felinità mi imporrebbe di negare in ragione del quieto vivere domestico. Il Telegatto sarebbe quindi l'immagine che inconsciamente genererei per autopunirmi del fatto che non ascolto a dovere la mia coscienza.

Le teorie della psicoanalisi sono sempre interessanti ma anche inverificabili. È sospetto però che l'angosciosa bestia si riaffacci proprio ora che il mio convivente, e di riflesso anche la mia casa, soffrono le pene di una crisi senza precedenti: qualche settimana fa se n'è andata madonna Veronica con la sua perpetua; ieri, la famiglia ha perso un altro membro storico, il maggiordomo Ambrogio.

Il suo vero nome è Giosino Ferrigno, ma il mio convivente l'ha ribattezzato Ambrogio per amore dei cliché. Era venuto a servizio del mio balio da prima ancora che nascessi, più o meno ai tempi dell'affarone di Villa San Martino. Di famiglia liberale (suo nonno aveva servito Giolitti), ha sempre avuto un rapporto conflittuale con il suo padrone, che considerava un parvenu dai modi volgari, ma sembrava aver superato ogni riserva dopo un seminario di nicodemismo di due mesi in India nel 1995. In realtà, gocce giornaliere stillate dal signore facevano traboccare il vaso della sua autodisciplina. Ieri, finalmente, la rottura.

È entrato quasi in punta di piedi nello studio ovulare, dove il mio convivente stava giocando a strip Monopoly con una procace capitalista, e tenendo lo sguardo a terra ha annunciato le sue dimissioni. Il mio compagno ha allontanato la bella donna per concentrarsi su Ambrogio. "Tu quoque? Non sarai caduto anche tu vittima delle falsità della sinistra? Se ti servono ancora due mesi in India non ci sono problemi, lo sai". Ambrogio disse: "La ringrazio. Ma devo prendere una decisione. Non solo per me, ma anche per i miei parenti d'Argentina. Come lei sa, essi da tempo desiderano tornare in Italia, la terra dei nostri nonni. Lei gentilmente si era anche interessato a fargli avere la cittadinanza italiana in tempi brevi...". "Ebbene? Qualche problema? La burocrazia è lenta? Brunetta batte la fiacca?". "No, no, niente di tutto questo, anzi! I miei parenti mi hanno chiamato due giorni fa per dirmi che tutto si sta mettendo al meglio. Tra poco avranno i documenti". "E allora cosa c'è che non va?".

"È che qui in Italia mi sembra si stia mettendo peggio che in Argentina... Ieri ho raccontato ai miei parenti la cronaca della giornata: un dittatore nordafricano che in passato ha protetto terroristi internazionali ha parlato in un'aula del Senato della Repubblica inveendo contro gli Stati Uniti, e tirandole davvero una bella volata per il suo incontro con Obama lunedì. In serata è passata una legge che oltre a togliere alla magistratura inquirente uno strumento essenziale per la lotta contro la criminalità mette un bavaglio all'informazione come non ne esistono negli altri paesi democratici. La polizia ha nuovamente caricato degli studenti che manifestavano contro l'accoglienza festosa riservata al suddetto dittatore. A una studentessa che stava facendo una domanda è stato strappato il microfono dagli agenti di sicurezza".

"Quando gli ho raccontato queste cose, con l'animo pieno di tristezza, i miei parenti argentini sono rimasti a lungo in silenzio. Si sentivano solo in nostri respiri al telefono. Poi Giuseppe, mio cugino, ha detto: «No te preoccupe. Da mucho tiempo desideriamo riunirse e non sarà queto che noi fermerà. Domani vado a farte i documenti per diventare argentino. Vorà dire che quando ci arribano i pasaporti italiani, li stracceremo». Quelle parole mi hanno toccato il cuore. Ho visto la purezza e l'apertura di un paese giovane, forse più povero, ma anche più libero e gioioso. E ho deciso di partire."

"E va bene", ha commentato il capo. "In fondo ti posso capire. Le Argentine sono proprio bone. Magari ti vengo a trovare qualche volta. Ti chiamo prima così mi organizzi la compagnia femminile! Eh?". Ma Ambrogio ha tenuto lo sguardo a terra, senza più dire una parola. Poi si è voltato ed è andato in camera sua a fare le valigie. Stamattina l'ho seguito con lo sguardo nei suoi ultimi passi in questa casa. Arrivato davanti alla porta d'ingresso, ha esitato ancora un istante. Un ripensamento? No: si è voltato e mi ha guardato fisso negli occhi. Poi si è diretto verso di me. Per un momento mi sono visto in Argentina. Ma il bravo Ambrogio non aveva intenzione di rapirmi. Si è accovacciato davanti a me e mi ha detto: "È da un po' che seguo il tuo blog. All'inizio non ci potevo credere, ma una sera ho visto il belìno al computer, e quella sì che era una cosa davvero incredibile. Continuerò a leggerti da Buenos Aires, per sapere come stai e che aria tira da queste parti. Teniamoci in contatto via email, caso mai ti venisse voglia di evadere anche tu".

È stata la prima volta che Ambrogio mi ha parlato. Per riconoscenza ho socchiuso gli occhi per un paio di secondi. Poi l'ho accompagnato con lo sguardo alla porta, e l'ho visto scomparire dietro di essa. Allora mi sono alzato e sono andato a stravaccarmi sul divano, per recuperare le ore di sonno perse la notte prima.

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