domenica 11 aprile 2010

Happy Hour

Lo so, lo so. Lo so. Mi sono colpevolmente ritirato nel silenzio per molte settimane. Senza preavvertire gli amici gatti, senza dare più notizie di me (a parlare del mio coinquilino sono rimasti giornali e tv nostrani, in una bulimica lotta ad amplificare ogni tic verbale del nostro piccolo padre). A dire il vero mi sono aggirato insonne su Facebook. Ma Cuorefelino è rimasto immutabile come un calendario dimenticato in garage, di quelli che si fissano per sempre a chiamare culo un culo anche se nel frattempo ha fatto carriera ed è diventato ministro.

Il fatto è che sono successe cose che mi hanno ferito nel più importante punto d'orgoglio che ha un gatto, cioè quell'innato senso d'imperturbabilità che ci rende sovrani in ogni situazione, l'indolenza di chi sa di avere sette vite e si permette il lusso di perdere il conto di quale stia vivendo, il cinismo che ci fa passare oltre qualsiasi ostacolo e scavalcare felpatamente ogni umana piccolezza. Sono, questi, gli attributi che normalmente di fronte a ciò che l'uomo chiama tragedia ci fanno socchiudere gli occhi e sbadigliare; e ci fanno apparire spietatamente sarcastici se una mente semplice ci si offre come tramite per scrivere o parlare.

Non c'è niente di più degradante per noi che scoprirci in preda a emozioni da bipedi, come la rabbia. Ma quando lessi le intercettazioni di quei due mostri che ridevano di notte nel letto alla notizia del terremoto in Abruzzo, persi per la prima volta tutta la mia gattitudine. Mi accorsi che ciò che tentavo di scrivere non faceva più sorridere nemmeno me. Guardavo il mio vecchio coinquilino in stato catalettico pigiare i tasti della tastiera al mio comando e non capivo più chi fosse di noi due a tenere le redini telepatiche: io che lo condizionavo col pensiero o lui che aveva aperto all'Italia balorda le maglie della legge e tolto a me la voglia di scherzare? Il gatto felpato era finalmente inciampato su un ostacolo più grande persino del suo immane senso di superiorità: un cumulo di merda depositato da una nazione che ha rotto le righe, impazzita ad arraffare per sé tutto ciò che già le apparterrebbe per diritto, nell'happy hour dei saldi di legge e delle prescrizioni-lampo, scoccata dal suo governante supremo il cappellaio matto, imbarbarita e incarognita nell'emulazione del grande senza-legge.

Come si vede fin troppo bene, non ho ancora recuperato lo smalto ironico e il distacco che servirebbe a Cuorefelino per meritare l'etichetta di "satira". Ma la realtà ha ormai superato in comicità la fantasia di qualsiasi professionista della risata. La paura di rimanere senza lavoro serpeggia fra cabarettisti e disegnatori, incapaci di tenere testa alle trovate esilaranti del grande clown. Si finisce col pescare nel torbido. I maestri della satira sono costretti dalla violenza caricaturale della realtà a rispondere con metafore sodomitiche. Si ride amaro.

Il mio coinquilino, per usare lo storico eufemismo di Donna Veronica, "non-sta-bene". È sempre più difficile, durante le mie penetrazioni ipnotiche, dare la caccia ai pochissimi neuroni residui che si agitano nel suo cervello come particelle anarchiche, esilarate dai misteriosi sottoprodotti del Viagra in eccesso. Che non abbia più la freschezza mentale di un tempo è cosa chiara a tutti, soprattutto ai ramarri che gli strisciano intorno con la lingua in mano. Ma anche il cosiddetto popolo della libertà (di farsi i cavoli propri) ha capito che il re è nudo, anzi scemo. È come una scolaresca che esulta quando il preside porta in classe la notizia che la maestra è malata e il giorno di scuola salta. Qui invece salta una legislatura intera, e la scolaresca è un esercito trasversale di ricchi e accattoni che ambiscono a spartirsi i sessanta miliardi di corruzione e i duecentocinquanta miliardi di economia sommersa ed evasione fiscale che il Bel Paese fattura ogni anno, dichiarando guerra alla magistratura e in realtà combattendola contro la legge. Pur di partecipare a un party con una torta simile si è ben disposti a sostenere col voto un povero malato di Alzheimer con la nevrosi della battuta greve. Il problema è che loro lo votano ma a conviverci devo poi essere io: dopo l'ultima vittoria elettorale ha rimandato a tempo indeterminato il suo vecchio piano di trasferirsi in Libia.

Tra i fatti che in questi mesi hanno umiliato i comici d'Italia, facendoli apparire al confronto dei compassati uomini politici, c'è stato il baciamano a Gheddafi, scambiato per Provenzano per deformazione professionale. Ci sono state le sue piroette diplomatiche sullo scacchiere del mediterraneo, alla velocità dei Sufi. Ha esportato buonumore anche in Francia, con la sua selezionatissima collezione di candidatine regionali. Ha fatto piegare l'Italia in due dalle risate promettendo
la sconfitta congiunta di mafia e cancro per azione del suo governo nel giro di tre anni. Il suo segreto, come quello di ogni buon comico, è di riuscire a non ridere mai per le proprie battute.

martedì 26 gennaio 2010

Je so' pazzo

Sembra dunque che l'esilio africano del mio compagno debba essere nuovamente rinviato, questa volta per il sovrano volere del Senato della Repubblica italiana. La sensazione è anzi che dovrà passare del tempo prima che il mio balio sia costretto a ricalcare le orme peregrine lasciate in Maghreb dalle ciabatte del suo amico Bettino anni or sono. Infatti la leggina che impone ai giudici un limite di tempo entro il quale assicurare criminali provati alle patrie galere si applica retroattivamente anche ai processi in corso, fra cui quello che da un anno cerca di identificare il misterioso corruttore di un certo corrotto acclarato, del quale circola un identikit piuttosto familiare.

Telesina ha l'aria preoccupata, nonostante diversi commentatori in questi giorni assicurino che la leggina sia solo uno spauracchio per sdoganare un altro provvedimento, meno letale per la nazione ma altrettanto provvidenziale per i processi del mio coinquilino. Ma Telesina conosce meglio di chiunque altro la follia del mio convivente, che egli stesso invoca citando Erasmo da Rotterdam credendolo un calciatore olandese. Ne conosce l'annosa infezione sifilitica che gli ha divorato mezzo cervello. E ne conosce pure la sindrome di Sansone che lo spinge, oltre alla cura morbosa di un'immaginaria criniera, anche a meditare l'abbattimento delle colonne portanti dello Stato pur di far strage dei giudici filistei da cui si sente perseguitato.

Telesina teme che il raptus permanente che, unico insieme al Viagra, è ancora capace di stimolare il sistema nervoso di papi, lo possa portare davvero a imporre alla sua servitù parlamentare una legge che grazierebbe a caso colpevoli di qualsiasi reato a seconda della durata del processo, vale a dire anche dello stato di salute dei giudici, della viabilità delle strade che conducono ai tribunali e delle condizioni atmosferiche. È con queste parole che Telesina ha provato a far riflettere il mio compagno. Ha paragonato la leggina a un "gratta e vinci" dove conterebbe la fortuna (o la cognizione) del bandito di finire a processo contro una procura oberata di lavoro, per averla vinta nella gara contro il tempo. Ma il mio coinquilino ha fulminato Telesina sfoderando tutta la sua cultura giuridica, imparata per corrispondenza da Provenzano: "Ma perché, fortuna e giustizia non sono la stessa cosa? E allora perché le disegnano sempre tutte e due bendate?".

Svanite in questo modo le speranze di una moral suasion, Telesina ha deciso di creare un diversivo per l'opinione pubblica. Ha convocato lo zoo di corte in casa e, camminando in mezzo a quelle bestie, tra ringhi e grattate si è messo a ponderare quale usare per far passare in secondo piano il gratta e vinci criminale. Infine ha scelto il botolino che fa la guardia al ministero della Pubblica Amministrazione.

Costui è un raro caso di nanomegalomania: così affamato di notorietà da accaparrarsi anche gli insulti a lui non destinati. Ha riscritto più volte il proprio passato per apparire un nuovo protagonista della politica, mentre invece è un rappezzato galoppino di uno dei satrapi del sopracitato Bettino; si vanta di essere un economista, mentre invece si infilò in università grazie a una sanatoria di precari, portando in dote due ignoratissime pubblicazioni. Si è autocandidato al Nobel per l'economia, ma alla commissione di Stoccolma il suo contributo all'esplosione del debito pubblico italiano quando era consulente del governo Craxi non ha mai colpito troppo come referenza. Insomma, per Telesina uno schizoide ideale per distrarre il pubblico dal processo breve.

Fra i miti personali che il piccolo ha elaborato per sè c'è anche quello di essersi fatto da solo. È così che lui immagina essere avvenuto il suo ingresso nel mondo: appena diciottenne fu messo alla porta dal padre, severo custode delle tradizioni teutoniche di famiglia, nel gelido paesaggio invernale della steppa russa. In realtà ha cazzeggiato al caldo nella casa dei suoi fino a oltre i trent'anni, quando una notte in una discoteca di Jesolo cozzò contro bellicapelli De Michelis che, fulminato dal physique du role del personaggio, lo arruolò all'istante nel leggendario codazzo di nani e ballerine del grande capo.

Dunque l'altro ieri Telesina si è avvicinato al rabbioso botolo e l'ha aizzato, ricordandogli da una parte il film del suo svezzamento precoce e dall'altra imprecando contro le schiere di precari, contrattisti e disoccupati d'Italia che per una malintesa generosità dei genitori non vengono messi sulla strada. Il ministro canino ha latrato di rimando che ci avrebbe pensato lui: e così è nata l'idea di sbattere tutti i diciottenni fuori di casa per legge.

Grazie a questo diversivo qualche oppositore ha mollato la presa sul processo a tempo e si è messo a inseguire il piccolo mastino col randello, ma i più non si sono fatti distrarre. Per fortuna gli amici del PD hanno completato l'opera di diversione. Baffo d'argento si è subito sdebitato per la nomina a capo del comitato di controllo dei servizi segreti, concessagli dal mio compagno in riconoscimento della sua carriera di sbianchettatore, dichiarando guerra all'elettorato del suo partito in Puglia. Poi è intervenuto anche il sindaco di Bologna a rinverdire la tradizione scandalistica del PD, che dal caso Marrazzo ormai languiva.

Alla fine il brutto caso del processo gratta e vinci giaceva ben sepolto sotto queste e altre amene minchiate. Telesina poteva respirare: ancora una volta aveva salvato la faccia del suo strumento politico, il mio coinquilino. Il sorriso di sollievo con cui venne a trovarlo dopo l'operazione riuscita si indurì però di fronte allo spettacolo di lui e Apicella che provavano un nuovo repertorio di canzoni napoletane. Con grande spirito di identificazione, papi cantava un successo di Pino Daniele.

Je so' pazzo
je so' pazzo
e vogl'essere chi vogl'io
ascite fore d'a casa mia.
Je so' pazzo
je so' pazzo
c'ho il popolo che mi aspetta
e scusate vado di fretta
non mi date sempre ragione
io lo so che sono un errore
nella vita voglio vivere
almeno un giorno da leone
e lo Stato questa volta
non mi deve condannare
pecché so' pazzo-oh-oh,
je so' pazzo-oh-oh
nun 'nce scassate 'o cazzo!

lunedì 11 gennaio 2010

Telefon

Le vacanze purtroppo sono finite, ma sono state davvero fantastiche. Rispetto a un anno fa, quando mi era toccato accompagnare il mio convivente e il suo amico viveur in missione in tutti i wild party in corso fra i Tropici e Cortina, quest'anno ho potuto godermi settimane di pace solitaria a casa.

I contatti con il mio compagno li avevo persi, come la quasi totalità degli Italiani, quella fredda sera di dicembre dell'attentato in piazza Duomo. Ai gatti domestici non spettano aggiornamenti puntuali sulla salute degli altri animali di casa e così rimasi all'oscuro delle condizioni di papi. La tv dal canto suo non rassicurava: per giorni non si parlò d'altro che di odio e violenza, di terroristi mediatici e bombaroli televisivi, gente più pericolosa delle br. In altre parole: farabutti coglioni che dovrebbero morire ammazzati.

Tutti questi proclami apocalittici, nonostante fossero tarati per l'homo videns medio, finirono per condizionare psicologicamente anche me. Piano piano smisi di trovare comica la scena della palombella di Tartaglia, con il volo verticale della cattedrale ambrosiana che scavalca il nugolo di teste d'uovo della scorta per andare scartavetrare il faccione di pongo del mio convivente. Il lavaggio del cervello della tv mi portò a chiedermi: e se si fosse fatto male davvero? In gioco c'era nientemeno che la mente semplice del mio compagno, unico mio tramite telepatico per accedere a internet.

La preoccupazione montò durante l'interminabile degenza. Ebbi paura che i medici del S. Raffaele avessero colto l'occasione dell'ammaccatura per sostituire il processore che da anni aiuta il mio coinquilino nei ragionamenti elementari e che negli ultimi tempi aveva denunciato patetici segni di obsolescenza. La mia preoccupazione aumentò con la diffusione delle parole paraevangeliche attribuite al mio convivente: mi chiesi se esistesse ancora il mio buon vecchio balio, con la sua sana fissa per le donnine allegre, la sua paranoia esistenziale, la megalomania tricologica e il complesso della pompetta corta. Oppure l'upgrade dei suoi circuiti lo aveva per sempre trasformato in un placido castrato digitale, più adatto al ruolo di primo ministro che ai miei condizionamenti telepatici?

Tre giorni fa, dopo la sua lunga peregrinazione fra cliniche private, ville brianzole, piscine in Costa Azzurra e ipermercati, la risposta mi è arrivata a domicilio e in persona. Mi avvicinai a lui con circospezione, annusandolo a distanza per scoprire se fosse ancora quello di prima. Con sollievo riscontrai che nei giorni di clandestinità la puzza d'ospedale aveva lasciato posto a un più familiare afrore inguinale di genere femmineo: il vecchio libidinoso aveva sfruttato la convalescenza per sfogare i suoi istinti, lungamente repressi per la ragion di stato. Papi dunque non era cambiato!

Anch'io, come altri, rimasi perplesso per la totale assenza di segni sul suo volto. Non una cicatrice, non una crosticina: il lattice fardato del suo viso si era ricomposto miracolosamente, apparendo se possibile ancor più liscio di prima. Di fronte al miracolo, qualcuno si fece il segno della croce; un altro istintivamente allungò il dito per tastare la sacra faccia ma fu pietrificato dallo sguardo arcano del proprietario. Un altro ancora, noto appustolato, afferrò un lembo della tunica militare che da settimane avvolge san Papi e invocò: "Guarisci anche me, piccolo padre!". Il buon santone gli mollò istintivamente una pedata inveendo: "Piccolo a chi?". Ma subito l'amore lo vinse, ed egli accarezzò il viso dell'insolente; le pustole però rimasero. Allora l'aedo domestico attaccò un peana di ringraziamento e tutti s'inginocchiarono.

L'unico che se ne stava discosto dal gruppetto senza batter ciglio era Telesina. Proprio lui, l'eminenza grigia, il sadico burattinaio del mio povero mente-semplice, il cervello che prevede e provvede e ha ramificazioni neuronali persino nei suoi cloni disseminati fra gli avversari: cosa sapeva lui che noi tutti ignoravamo?

In un attimo mi giunse l'illuminazione, in forma di trailer di un vecchio B-movie. Mi tornò in mente un particolare di settimane prima, a cui allora non avevo prestato attenzione per abitudine alle stranezze del mondo bipede: nelle ore che precedettero la duomata, Telesina aveva consumato il nostro corridoio facendo avanti e indietro con un grembiulino annodato in vita, mentre ripeteva noti versi di Frost: "I boschi sono belli, scuri e profondi...". Poi, qualche minuto prima dell'attentato, chiamò un tizio che aveva evidentemente altro da fare:

- "Pronto..."
- "..."
- "No, lei non mi conosce, ma questo non ha rilevanza: mi ascolti..."
- "........"
- "Ma abbia un momento di pazienza, lasci che le dica solo una cosa veloce..."
- "................"
- "Ma che m'importa se sta aspettando una ragazza! Senta, tanto vale che lo sappia subito: quella ragazza non arriverà mai!"
- "......................?"
- "Lo so e basta, lei pensi solo ad aprire le orecchie, che il comizio può finire da un momento all'altro: 'I boschi sono belli, scuri e profondi, ma io ho promesse da mantenere e miglia da percorrere prima di dormire'..."
- "......................................."
- "No, no, chi ha detto di 'mantenere Emilia', io ho detto 'promesse da mantenere e miglia da percorrere'..."
- "............"
- "Ma nessuno vuole 'percuotere Emilia'! Io ho detto 'miglia'!
- ".....?"
- "Miglia, sì, miglia! Un miglio, due miglia... È solo un altro modo per dire chilometri"
- "........."
- "Ma con 'chilometri' il giochetto non funziona! Senta, lo so che lei è psicolabile, ma faccia almeno un piccolo sforzo! Adesso gliela ripeto da capo, ma mi stia bene a sentire: 'I boschi sono belli, scuri e profondi, ma io ho promesse da mantenere e miglia da percorrere prima di dormire. Miglia da percorrere prima di dormire'.
- "... . . . . . . "
- "Pronto? Pronto?"
-
- "Mah, speriamo sia andata."

Telesina si tolse il grembiulino e accese la televisione. Mezz'ora dopo le immagini del mio balio insanguinato si diffondevano in tutto il mondo. Arrivarono anche le prime inquadrature del colpevole, un tizio con un'aria totalmente allucinata. Quasi come uno che avesse appena sentito Telesina declamare Frost.